Covid-19, morosità dovuta alla pandemia: sì allo sfratto                    05 giugno 2021

                   


La giurisprudenza di merito continua a pronunciarsi sulle controversie scaturenti dalle morosità nelle locazioni commerciali, che sono esplose nella fase della emergenza sanitaria per la pandemia da Covid-19 e che sono state o vengono decise con esiti alterni, in termini non sempre coerenti e uniformi benché sulla base delle specificità delle singole questioni poste all'attenzione dei giudici.

In una recente sentenza (del 09/04/2021) il Tribunale di Roma – a fronte di una difesa in giudizio della parte conduttrice, esercente attività di bar/ristorazione, che si era resa morosa nel pagamento dei canoni locatizi e si era costituita in giudizio opponendosi alla richiesta di sfratto eccependo l'eccezionalità della situazione generata dalla pandemia da Covid-19 - ha dapprima emesso in via provvisoria l'ordinanza di rilascio dell'immobile e dopo il prosieguo della causa ha convalidato lo sfratto per morosità .

Le argomentazioni della conduttrice erano nel senso di:

  • (in via cautelare) “sospendere l'esecuzione, per la sussistenza dei gravi motivi ostativi al rilascio dell'immobile, legati allo stato sanitario emergenziale da Covid-19 e delle misure restrittive all'esercizio dell'attività di impresa adottate nel settore bar/ristorazione”;

  • (nel merito) chiedere il rigetto dell'intimazione di sfratto sussistendo i gravi motivi ex art. 665 ostativi alla pronuncia dell'ordinanza di convalida di sfratto e la riduzione nella misura del 50% del canone (per alcuni mesi) e del 30% per i mesi successivi sino al termine dello stato di emergenza.

Stando ancora alla difesa della conduttrice, la società locatrice avrebbe violato il dovere di buona fede non accettando le richieste di riduzione del canone; ma il Tribunale ha osservato che, in base agli atti di causa, la locatrice avesse portato avanti delle trattative e tentato un bonario componimento della controversia, addivenendo con la contraente alla stipula di un piano di rientro che, tuttavia, non era stato rispettato.

Ma soprattutto, osserva il giudice, che i richiamati Dpcm, adottati durante l'emergenza sanitaria e per affrontare la stessa, non assurgono a fonte normativa, essendo, semmai, provvedimenti amministrativi generali ma privi di valenza normativa, citando in tal senso la giurisprudenza del Consiglio di Stato (sez. IV, 5973/2013) così come una sentenza della S.C. (SS.UU., 20680/2018) .

Quanto al resto, evidenzia il giudice che l'esercizio di un diritto sancito nel contratto – quello della proprietà di pretendere il canone di locazione pattuito - non può essere considerato, in sé, violativo dell'obbligo di comportarsi secondo buona fede. Il criterio della buona fede impone, sì, al contraente di attivarsi in favore dell'altro ma pur sempre “nei limiti dell'interesse proprio” come più volte sancito dalle sentenze della Corte di Cassazione (da ultimo la n. 23069/2018). Ne discende che la rinuncia ad un diritto contrattuale per addivenire ad un accordo costituisce certamente un apprezzabile sacrificio che non può essere preteso.

In conclusione, il giudice accertato il grave inadempimento della conduttrice, ha dichiara la risoluzione del contratto, confermato l'ordinanza di rilascio dell'immobile e condannato la conduttrice a corrispondere alla locatrice il canone convenuto e non corrisposto oltre alla rifusione delle spese di lite.