L’aumento
del prezzo dell’energia oltre le ordinarie oscillazioni, dovuto
alla generale crisi economica finanziaria ed al conflitto bellico in
atto in Europa costituisce evento straordinario ed imprevedibile che
giustifica, ove incida notevolmente sull’equilibrio delle
prestazioni contrattuale, l’adozione del rimedio risolutorio
previsto dall’articolo
1467 del codice civile. Qualora sussistano i presupposti per la
domanda di risoluzione per eccessiva onerosità, deve essere data la
possibilità alla parte che subisce lo svantaggio del protrarsi
dell’esecuzione del rapporto, alle originarie condizioni, di
rinegoziarne il contenuto, in base al dovere generale di buona fede e
correttezza oggettiva nella fase esecutiva del contratto, fonte di
integrazione della sua regolamentazione. Anche in ambito di
procedimento cautelare l’effettività del comando può essere
rafforzata attraverso l’applicazione di misure di coercizione
indiretta, come previsto dall’articolo
614 bis del codice di procedura civile. A stabilirlo è il
Tribunale
di Arezzo con ordinanza del 22 giugno 2022.
Dopo un lungo periodo caratterizzato dalla incidenza del Covid sulla loro sorte, in specie con riguardo a quelli relativi a locazioni di immobili destinati all’esercizio di attività commerciali che in forza dei provvedimenti emanati dalle autorità governative sono rimasti chiusi per lunghi periodi, dando vita ad innumerevoli approdi in sede di dottrina ed eterogenee decisioni in sede di merito, ecco affacciarsi una nuova emergenza a condizionare la sorte dei contratti commerciali in corso di esecuzione.
Il
riferimento è all’improvviso rincaro del prezzo dell’energia
determinato dalla riduzione delle forniture di gas da parte della
Russia, quale ritorsione alle sanzioni applicate da parte della
Unione Europea in ragione dell’invasione dell’Ucraina, evento che
incide pesantemente non solo sui bilanci familiari dei comuni
cittadini, ma anche sui costi di gestione delle attività industriali
che di tale risorsa fanno uso massivo.
Il provvedimento, in linea con il dettato normativo, precisa espressamente che la mera variazione dei costi delle materie prime non vale di per sé a giustificare la domanda di risoluzione per eccessiva onerosità, essendo necessario che essa superi l’ambito della normale alea contrattuale, ma rileva che nel caso di specie “… avendo l’energia elettrica raggiunto dei costi non prevedibili e superiori rispetto alle normali oscillazioni di mercato in ragione della crisi economica e finanziaria, alla quale si è aggiunto il conflitto bellico in atto in Europa” si è integrata quella ipotesi in cui lo squilibrio sinallagmatico dipende da “abnormi cause di natura economica e finanziaria, di carattere generale o particolare, che incidano sui prezzi stessi in maniera straordinaria e imprevedibile”, oltretutto destinata a perdurare nel tempo ed, anzi, ad aggravarsi con il passare di esso.
Il
giudice, richiamando recenti precedenti dei Tribunali di Roma e
Milano, ha inoltre evidenziato che alla parte che risulta
svantaggiata dal mutato quadro economico per fatti quali quelli in
esame deve essere riconosciuta la possibilità di rinegoziare il
contenuto del rapporto contrattuale, e che la controparte è tenuta a
cooperare nella trattativa, “in base al dovere generale di buona
fede e correttezza oggettiva nella fase successiva alla stipula del
contratto e quale fonte di integrazione contrattuale”.
Appare
opportuno precisare, in merito, che la parte che subisce l’eccessiva
onerosità sopravvenuta della prestazione può solo agire in
giudizio per la risoluzione del contratto ai sensi dell’articolo
1467, comma 1, c.c., ma non ha diritto ad ottenere l’equa
rettifica delle condizioni contrattuali, che può essere invocata
dal convenuto, ai sensi dell’ultimo comma, in quanto il contraente
a carico del quale si verifica l’eccessiva onerosità della
prestazione non può pretendere che l’altro accetti l’adempimento
a condizioni diverse da quelle pattuite (Cass.
n. 2047/2018).
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