Con la sentenza n. 263 del 22 dicembre 2022 la Corte Costituzionale ha stabilito che in caso di estinzione anticipata di un contratto di credito al consumo il consumatore ha diritto alla restituzione pro-quota dei costi sostenuti in sede di stipula, anche se questa è avvenuta prima del 25 luglio 2021, data di entrata in vigore del nuovo art. 125-sexies del Testo Unico Bancario.
Nei contratti di credito al consumo (prestiti personali, cessioni del quinto, delegazioni di pagamento) all’atto della sottoscrizione il consumatore si accolla una serie più o meno numerosa di costi iniziali (come ad es. le spese di istruttoria, il premio assicurativo); questi costi possono essere finanziati (andando ad accrescere il debito totale da restituire) o non finanziati (determinando una riduzione della somma erogata dall’istituto bancario).
Naturalmente tali oneri rientrano nel calcolo del TAEG a priori, che però risulterebbe alterato nel caso in cui il consumatore decidesse, ad un certo punto, di avvalersi della clausola di estinzione anticipata.
Infatti il TAEG è costruito in modo da tener conto dei costi iniziali come se fossero “spalmati” sull’intera durata del prestito, e se questo si estingue prima si verifica inevitabilmente un aumento del TAEG a posteriori.
Per questo motivo è ragionevole che una parte dei costi venga rimborsata al consumatore in caso di esercizio della facoltà di estinguere anticipatamente il debito.
Di fatti già da tempo l’orientamento giurisprudenziale prevedeva la restituzione di una parte degli oneri iniziali, ma con visioni diverse che dipendevano dalla natura degli oneri, infatti sono stati individuati due tipi di costi:
Recurring, cioè soggetti a maturazione nel corso del rapporto, come ad esempio i premi assicurativi la cui funzione di copertura del rischio viene a mancare se il prestito si estingue;
Up-front, che invece sono relativi ad adempimenti preliminari, come le spese di istruttoria la cui funzione si esaurisce con la concessione del credito.
Fino al 2019 solo i costi recurring venivano considerati restituibili pro-quota, mentre i costi up-front erano considerati come definitivamente incamerati dall’istituto finanziario e dunque non soggetti a ripetizione.
La sentenza della Corte di Giustizia Europea n. 383 dell’11 settembre 2019 (c.d. “Sentenza Lexitor”) ha affermato che in caso di cessazione anticipata del rapporto di credito, il consumatore ha diritto alla restituzione pro-quota di tutti i costi posti a suo carico, per il periodo di durata residua non goduta del credito.
Nel sistema della giustizia italiana il primo soggetto che ha fatto proprio tale principio è stato l’ABF – Arbitro Bancario Finanziario – con la decisione del Collegio di Coordinamento n. 2625 dell’11 dicembre 2019, successivamente confermata in centinaia di pronunce successive (si veda ad esempio la n. 10159 del 2020).
Non sempre, però, gli istituti finanziari hanno ottemperato alle decisioni ABF, a causa del fatto che il diritto italiano ha accolto la sentenza Lexitor attraverso una modificazione dell’art. 125-sexies del Testo Unico bancario avvenuta con l’art. 11-octies del D.L. 73/2021 (“Decreto Sostegni Bis”), la quale dispone che “Il consumatore può rimborsare anticipatamente in qualsiasi momento, in tutto o in parte, l’importo dovuto al finanziatore e, in tal caso, ha diritto alla riduzione, in misura proporzionale alla vita residua del contratto, degli interessi e di tutti i costi compresi nel costo totale del credito, escluse le imposte”.
Tuttavia questa modificazione disponeva solo per l’avvenire, cioè dal 25 luglio 2021 in poi, escludendo quindi la retroattività del nuovo impianto.
Ebbene in una delle circostanze di inottemperanza della banca nei confronti della decisione ABF, motivata dal fatto che il contratto era stato stipulato prima dell’entrata in vigore delle nuove norme, la questione è stata portata all’attenzione della magistratura ordinaria fino a che, con ordinanza del 2 novembre 2021 del Tribunale di Torino, è stata rimessa alla valutazione della Corte Costituzionale.
Dopo circa un anno, con la sentenza n. 263 del 22 dicembre 2022, la Corte ha infine dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 11-octies, nella parte in cui il diritto alla riduzione dei costi è limitato solo a quelli di tipo “recurring”.
L’immediata conseguenza è che oggi il consumatore che estingue anticipatamente un debito appartenente alla famiglia del credito al consumo, ha diritto al rimborso pro-quota sia dei costi recurring che di quelli up-front, anche per i contratti stipulati prima del 25 luglio 2021.
Dal punto di vista della quantificazione delle quote di costo da restituire, i costi recurring e up-front sono assoggettati a procedure di calcolo differenti:
La
riduzione spettante per i costi recurring
si
ottiene con il criterio del “pro-rata
temporis”,
cioè il valore da restituire è proporzionale al numero di rate
residue soppresse dall’estinzione anticipata rapportato al numero
totale di rate.
Ad esempio, a fronte di un costo
recurring
di
€ 1.200 su
un contratto di 120
rate mensili di cui 65 già pagate,
il calcolo del rimborso può avvenire con la seguente proporzione:
€ 1.200 : rimborso = 120 : (120-65) da cui rimborso = € 550
Quanto
alla riduzione spettante per i costi up-front,
in mancanza di una normativa specifica, lo stesso ABF ha individuato
un criterio suppletivo di tipo equitativo (si veda la precedente
decisione n. 10159/2020) per
cui
la quota da restituire è proporzionale all’ammontare di interessi
insiti nelle rate soppresse dall’estinzione rapportato al totale
degli interessi.
Ad esempio, a fronte di un costo up-front
di
€ 600 su un contratto che prevede un pagamento di € 4.000
complessivi di interessi, di cui € 2.200 già pagati nelle rate
scadute, il calcolo del rimborso può avvenire con la seguente
proporzione:
€
600
: rimborso = € 4.000 : (€ 4.000 - € 2.200) da
cui rimborso = € 270
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