Gratuito patrocinio: rileva anche il reddito del convivente                                                                                                   07 luglio 2023  


In una recente pronuncia la Cassazione ricorda che ai fini dell'ammissione al gratuito patrocinio si considerano anche i redditi del convivente (ordinanza n. 18134/2023).

Che cos’è il gratuito patrocinio?

Il patrocinio a spese dello Stato, comunemente detto “gratuito patrocinio”(la cui normativa di riferimento è contenuta nel Testo Unico in materia di spese di giustizia (DPR 115/2002) rappresenta un istituto di civiltà giuridica, che consente anche ai cittadini meno abbienti di agire e difendersi di fronte all’autorità giudiziaria, civile, penale, amministrativa, contabile e tributaria. In buona sostanza, le spese relative all’avvocato sono a carico dello Stato; pertanto, il difensore non riceve il compenso dal cliente – che non avrebbe le possibilità economiche per remunerarlo – ma dallo Stato. Il legale non può chiedere compensi o rimborsi da parte del cliente ammesso al gratuito patrocinio; infatti, ogni patto contrario è nullo e la violazione del divieto costituisce grave illecito disciplinare professionale per l'avvocato.

Il patrocinio a spese dello Stato riguarda unicamente la fase giudiziale, ne consegue che la fase stragiudiziale (con tale espressione ci si riferisce all’attività che spesso viene svolta anteriormente alla causa (esempio le lettere di diffida, la consulenza in studio, la redazione di un contratto o di un accordo) non è coperta dfal beneficio, per cui il compenso del legale deve essere pagato dal cliente.

Fanno eccezione due istituti previsti dal legislatore come strumenti alternativi di risoluzione delle controversie, come la mediazione e la negoziazione assistita.

Quando il ricorso a tali strumenti è previsto dal legislatore come condizione di procedibilità della domanda giudiziale, anche per tali incombenti non è dovuto compenso all'avvocato per la parte che si trova nelle condizioni per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato.

Il beneficio va chiesto al Consiglio dell'Ordine degli Avvocati territorialmente competente. Per essere ammesso il richiedente deve essere titolare di un reddito annuo imponibile, risultante dall'ultima dichiarazione, non superiore a € 12.838,00 (importo in vigore per il 2023 che viene aggiornato ogni due anni).

Anche se esistono circostanze in cui lo Stato ritiene di estendere il beneficio a prescindere dal reddito (si tratta prevalentemente di tutela in ambito penalistico).

Ai fini della determinazione dei limiti di reddito si tiene conto anche dei redditi che per legge sono esenti dall'imposta sul reddito delle persone fisiche (come ad esempio, per stare ad un istituto ricorrente negli ultimi tempi, il reddito di cittadinanza).

Non rileva invece il reddito ISEE.

Per il computo del reddito, si sommano al reddito del richiedente anche quelli dei membri costituenti la famiglia anagraficamente convivente, ossia i soggetti risultanti dai registri dell’ufficio anagrafe presso il Comune di residenza.

Tuttavia, come anticipato, secondo una recente pronuncia della Cassazione (che peraltro ha confermato un orientamento già espresso da altra ordinanza del 2022), va tenuto in considerazione anche il reddito prodotto dal convivente.

Nella vicenda, a seguito di verifiche, era stata revocata l'ammissione al beneficio disposta in via anticipata e provvisoria dal locale Consiglio dell'Ordine Forense.

Secondo i giudici della Suprema Corte la locuzione "componente della famiglia" ha una sua specifica pregnanza, avendo il legislatore voluto tenere conto della capacità economico-finanziaria di tutti coloro che, per legami giuridici o di fatto, comunque concorrono a formare il reddito familiare del soggetto richiedente il beneficio; e ciò in quanto non sarebbe conforme ai principi costituzionali di solidarietà, di equa distribuzione e di partecipazione di ogni cittadino alla spesa comune il fatto di gravare i contribuenti del costo della difesa di chi può fruire dell'apporto economico dei vari componenti il nucleo familiare.

Pertanto, deve ritenersi costituzionalmente orientata l'interpretazione della norma che considera 'familiari' non soltanto coloro i quali sono legati all'istante da vincoli di consanguineità o comunque giuridici, ma anche quanti convivono con lui e contribuiscono al menage familiare.

Coerentemente con la significativa evoluzione sociale, normativa e giurisprudenziale che ha portato al riconoscimento della famiglia "di fatto" quale situazione avente rilevanza giuridica.