Sequestro e pignoramento: il minimo vitale spetta anche al lavoratore autonomo                                             27 gennaio 2022   

Non solo il lavoratore dipendente e il pensionato: anche professionista e imprenditore hanno diritto al limite di impignorabilità del conto per esigenze vitali. Questo il principio affermato da una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 795 del 13.01.2022)

Il supremo Collegio ha dimostrato, in questi anni, di assimilare la disciplina del sequestro del conto corrente a quella del pignoramento, estendendo alla prima le garanzie previste per la seconda. Garanzie che si sostanziano nella previsione di un minimo vitale impignorabile, necessario a far fronte alle esigenze di sopravvivenza del debitore/imputato.

Il minimo vitale, ossia quella quota del conto corrente che non può essere né pignorata né sequestrata, è pari al triplo dell’assegno sociale. Attualmente, l’importo dell’assegno sociale è pari a 460,42 euro, per cui il minimo impignorabile è di 1.381,26 euro. Su un conto ove la giacenza è inferiore a tale somma, non è possibile procedere né al pignoramento né al sequestro; se invece la giacenza è superiore, si pignora l’eccedenza.

Una disciplina a parte viene prevista per la pensione, quando questa viene pignorata direttamente in capo all’Inps. In tal caso, il minimo vitale è pari a una volta e mezzo l’assegno sociale.

Si è di recente posto il problema della platea dei soggetti a cui applicare la disciplina sul minimo vitale in caso di sequestro o pignoramento del conto corrente. Questo perché la norma si riferisce esplicitamente solo ai redditi da lavoro dipendente o da pensione. Tant’è vero che, se sul conto confluiscono redditi di natura diversa (ad esempio pigioni per contratti di locazione) le garanzie appena elencate vengono spesso disapplicate. La Cassazione si è trovata a decidere sulla possibilità di garantire il minimo vitale anche a un imprenditore o a un professionista, pur nel silenzio della norma. E, a sorpresa, la risposta è stata affermativa.

Spetta tuttavia al soggetto passivo dimostrare le necessità che lo stringono e che gli impongono di non poter vivere se non con una parte dei risparmi in banca. Peraltro, continua la Cassazione, in questi casi non è previsto un importo determinato del minimo vitale (così come invece nel caso, appena visto, dei redditi da lavoro dipendente o di natura pensionistica); sicché, spetta al giudice determinare l’ammontare con il quale il soggetto sottoposto a sequestro o pignoramento deve poter vivere.

In sintesi, il principio che esce oggi fuori dalle aule della Suprema Corte è il seguente: anche all’imprenditore, al professionista e alle loro famiglie, al pari di quanto previsto per il dipendente, in occasione di un sequestro (e quindi anche di un pignoramento, attesa l’assimilazione tra le due procedure), va assicurato il cosiddetto minimo vitale. A tal fine, è necessario che l’interessato fornisca la prova della situazione patrimoniale e reddituale onde valutare il limite non vincolabile rispetto al sequestro/pignoramento operato.